#Geologodizona

Perché il Geologo di zona o di quartiere?

Testo della mozione approvanta dal XIV Congresso di Radicali Italiani

Il Congresso di Radicali Italiani,

considerato che:

    1. ogni qualvolta piove un po’ di più l’area colpiata dalle precipitazioni si trasforma, sistematicamente, in “area del disastro”, con frane, allagamenti, morti e distruzione;
    2. la vulenrabilità idrogeologica del territorio è resa così alta dal dilagare dell’abusivismo (seguito da condoni) e, in molti casi, dallo scempio che si è fatto delle “leggi della natura” con quelle degli uomini;
    3. che “Un geologo in ogni comune” era la proposta originaria di Marco Pannella già dagli anni ’80 quando era consigliere comunale a Napoli;
    4. oggi quella proposta è divenuta una proposta ufficiale anche del Consiglio Nazionale dei Geologi. Questa non è una lotta per rafforzare una categoria. Ma una battaglia per la vita;
    5. un Geologo per ogni area a rischio si potrebbe occupare del monitoraggio di fiumi e corsi d’acqua, del funzionamento e della implementazione dei sistemi di allerta delle popolazioni;
    6. potrebbe introdurre, all’interno delle pubbliche amministrazioni, quella cultura del rispetto dell’ambiente che finora è mancata;
    7. sarebbe ancora oggi una proposta Radicale ragionevole;
    8. mentre in Italia si discute su cosa fare per il dissesto idrogeologico con pochi bruscolini in finanziaria, la Spagna ha di recente fatto propria la proposta di istituire l’Ufficio del Geologo di Zona per la prevenzione del dissesto idrogeologico, la promozione e la salvaguardia del territorio trasformandola in proposta di legge da discutere nel Congresso dei deputati;

Il congresso impegna gli organi dirigenti a sostenere in ogni sede si renda possibile la proposta dell’istituzione, in ogni comune, dell’Ufficio del Geologo di Zona.

Chianciano Terme, 1 novembre 2015


Di “Geologo di Zona

e dei (tanti) problemi “ecologici” legati ai georischi si parla nel volume: La peste ecologica e il caso Calabria. Il libro di Giuseppe Candido – segretario dell’associazione – pubblicato a luglio 2014 con l’introduzione di Marco Pannella e Rita Bernardini (allora Segretaria di Radicali Italiani), e la prefazione di Carlo Tansi (Geologo, ricercatore CNR-IRPI, oggi a Capo del dipartimento Protezione Civile Calabria); la postfazione è di Valerio Federico (allora tesoriere Radicali Italiani). Il libro è stato ripubblicato a febbraio 2020 dall’associazione ALM.19 maggio.


XIV Congresso di Radicali Italiani – Commissione terza

La peste ecologica e il caso Calabria (Ed. Non Mollare). Prefazione Carlo Tansi, Introduzione Rita Bernardini e Marco Pannella

ECONOMIA/ECOLOGIA

IL DISSESTO ECONOMICO, AMBIENTALE E IDROGEOLOGICO EFFETTO DELL’ILLEGALITÀ DI REGIME

 

Contributo di Giuseppe Candido

Ecologia, pane e lavoro. Dal risanamento ambientale e dalla mitigazione dei rischi geologici (anche oggi) un’opportunità di crescita e sviluppo sostenibile.

 

Delle violazioni dell’Italia per ciò che riguarda le direttive europee in tema ambientale ne riferirà compiutamente Massimiliano Iervolino e saranno proprio queste violazioni, assieme a quelle sulla Giustizia e quelle relative al danno erariale, ad essere oggetto della requisitoria contro uno Stato italiano sempre più Stato canaglia che non rispetta le proprie leggi.

Pertanto do qui per scontato che sia la terza commissione sia il congresso già sappiano delle continue e sistematiche violazioni della legalità in tema ambientale sui i rifiuti, sulla depurazione dei liquami, ma anche per quanto riguarda l’incolumità pubblica e il diritto alla vita dei cittadini violato durante i continui disastri annunciati che di imprevedibile hanno ben poco.

 

Mi concentro allora su alcune semplici considerazioni, già dette e già scritte ma che giova ricordare quando si relaziona di ecologia: cioè dei rapporti tra uomo e ambiente in cui vive.

 

Continuano, senza soluzione di continuità, i disastri idrogeologici. Disastri annunciati, diciamo da anni come geologi, perché avvengono in aree ormai ben note e delimitate; disastri che definire calamità naturali non è più possibile per uno Stato che intenda ritenersi Stato di diritto. Ogni qual volta piove un po’ di più l’area colpita dalle precipitazioni si trasforma, sistematicamente, in “area del disastro”, con frane, allagamenti, morte e distruzione. Siamo campioni nella gestione delle emergenze ma le parole previsione e prevenzione restano lettera morta.

E continuiamo ad essere il Paese dove la corda dell’ascensore si cambia solo quando si è spezzata.

La vulnerabilità idrogeologica del territorio è resa così alta dal dilagare dell’abusivismo (seguito da condoni) e, in molti casi, dallo scempio che si è fatto delle leggi della natura con quelle degli uomini.

 

Nel volume La peste ecologica e il caso Calabria, per il quale ho avuto l’onore di una introduzione di Rita Bernardini e Marco Pannela, al paragrafo dedicato ai “rimedi radicali” che potrebbero cambiare verso alle questioni ecologiche, ricordavo che il rispetto della Convenzione di Aarhus (Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, nota, appunto, come “Convenzione di Aarhus”, è stata siglata nella città danese di Aarhus, il 25 giugno 1998 ed è entrata in vigore il 30 ottobre del 2001 ed è stata recepita dall’Italia con la legge n. 108 del 16 marzo 2001; nel maggio 2013, era stata ratificata da 45 stati e dall’UE) imporrebbe la pubblicità e la diffusione dei dati ambientali riguardanti la qualità dell’aria.

Nell’ottica del voler rendere reale il motto “conoscere per deliberare” e affermare il diritto alla conoscenza in campo ambientale, tale convenzione dovrebbe essere “estesa” ed applicata anche ai dati ambientali relativi al consumo e all’inquinamento di suolo, del sottosuolo e delle acque.

 

Ogni cittadino, aggiungevo nelle considerazioni, dovrebbe – al momento dell’acquisto di un immobile – poter conoscere se ci sono e dove sono le aree a rischio idrogeologico e dove quelle eventualmente caratterizzate da una maggiore amplificazione sismica locale; e sempre al momento dell’acquisto di un immobile, si dovrebbe poter conoscere persino il livello di vulnerabilità sismica dell’edificio che si acquista. Si dovrebbe poter capire, cioè, se si sta acquistando un immobile o un rottame edilizio.

Pure sulle questioni relative all’inquinamento ambientale siamo indietro. Occorre che lo Stato garantisca effettivamente la trasparenza e l’accessibilità alle informazioni ambientali. Il diritto di accesso a tali informazioni risulterebbe garantito (il condizionale è d’obbligo quando si parla di trasparenza), dall’art.3-sexies del Decreto legislativo n°152 del 2006 (c.d. T.U. sull’ambiente) oltreché dalla Convenzione di Aarhus recepita dall’Italia con la L.108/2001 e dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195.

Chiunque, senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, dovrebbe poter accedere alle informazioni relative allo stato dell’ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale. E l’art. 40 del d. lgs.n°33 del 2013 esplicitamente prevede che le amministrazioni debbano pubblicare, sui propri siti istituzionali e in conformità a quanto previsto dal citato decreto, le informazioni ambientali e che a dette informazioni ‘deve essere dato specifico rilievo’ in un’apposita sezione ‘Informazioni ambientali’. In base alle leggi, le Regioni dovrebbero predisporre l’anagrafe dei siti oggetto di procedimento di bonifica; la stessa deve contenere: a) l’elenco dei siti sottoposti ad intervento di bonifica nonché degli interventi realizzati nei siti medesimi; b) l’individuazione dei soggetti cui compete la bonifica; c) gli enti pubblici di cui la regione intende avvalersi, in caso di inadempienza dei soggetti obbligati.

Invece, tanto per fare un esempio, per i 587 siti inquinati riportati nell’elenco nel piano delle bonifiche della Regione Calabria e pubblicati sul sito del Dipartimento regionale delle politiche dell’ambiente, al posto dell’anagrafe, a febbraio 2015, c’era solo un mero elenco dove i luoghi inquinati venivano distinti per provincia, comune, e per generica località. Neanche le coordinate geografiche. I cittadini, invece, stando alle leggi nazionali e alle convenzioni internazionali, avrebbero il diritto di conoscere, per i siti da bonificare, non solo l’esatta localizzazione ma anche “quali” e “quanti” interventi di bonifica siano già stati realizzati e quali, invece, siano ancora in corso di realizzazione. Come avrebbero il diritto di conoscere a quali soggetti spetti la bonifica.

 

Informazione e conoscenza, però, da sole non sarebbero sufficienti a risolvere il problema ecologico ormai endemico del Paese e dilagante anche fuori dai confini europei.

Per combattere il dissesto idrogeologico, il disastro ambientale e ridurre il rischio sismico servirebbe, invece, un piano ecologico nazionale di interventi pubblici mirati; un piano di stampo post keynesiano, da effettuare subito, convogliando e finalizzando risorse europee e risorse nazionali senza timore di far crescere il debito pubblico con politiche che, anche per l’aspetto dei rifiuti, non sarebbero spese né sprechi, ma veri e propri investimenti che garantirebbero –  a lungo termine – di risparmiare tantissimo in ricostruzioni, in gestione delle emergenze e, soprattuto, di evitare continue stragi di popoli.

Al tema dell’ecologia anche Papa Francesco si è attivato indirizzando ai potenti del Pianeta l’enciclica Laudata sii. “Sorella terra”, scrive il Santo Padre, “protesta per il male che le provochiamo a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei”.

E come potremmo dare torto a “Sorella terra” se protesta visto che viviamo in un’era che gli scienziati chiamano ormai antropocene perché è l’epoca di maggior pressione ecologica esercitata dall’uomo dall’inizio della sua evoluzione. Come Radicali, nel discutere di ecologia ed economia dovremmo riconsiderare radicalmente i limiti posti allo sviluppo.

Ecologia è economia. Ecologia, pane e lavoro, scriveva Pannella nel ’76. Mentre ancora oggi, come allora obiezione di coscienza, divorzio e aborto, il diritto a vivere in un ambiente sano viene considerato un diritto elitario, un diritto secondario rispetto al diritto al lavoro (e al profitto) che si può avere con un’acciaieria, con l’emergenza rifiuti o con un ponte sullo Stretto.

Un ponte sullo Stretto che, periodicamente, rispunta al posto di un serio piano ecologico nazionale d’interventi pubblici; un piano che rilanci l’economia e il lavoro attraverso le opere necessarie e urgenti di messa in sicurezza idrogeologica e sismica oltreché ambientale del territorio. Invece, assieme alle trivelle per cercare (ancora) idrocarburi, rispunta l’idea dell’opera faraonica: il ponte sullo Stretto.

 

Allora vengo al dunque e alle proposte: assieme alla requisitoria ambientale di tutte le violazioni sui perpetuate dalle amministrazioni sui territori, si dovrebbe proporre qualche soluzione: la realizzazione di un censimento della vulnerabilità sismica degli edifici sia pubblici sia privati.

Da effettuare con progetti specifici per i pubblici e con un sistema di incentivi per i privati; e a questo censimento dovrebbe seguire poi un piano straordinario per l’adeguamento antisismico e/o la rottamazione dei fabbricati “spazzatura”, non in grado di resistere alle scosse; un piano di emergenza ancora mancante e il trasferimento volontario, ma incentivato, delle popolazioni dalla zona rossa del Vesuvio e dall’intera area flegrea.

Un’altra domanda che come Radicali dobbiamo porci è quella di chiederci se sia possibile limitare il consumo di suolo e dirsi liberali?

Come sostiene pure Michele Governatori, nel documento (Ecologismo liberale Governatori M., Ecologismo Liberale, Appunti pratici per azione politica – Azioni recenti dei Radicali, Roma, 29/01/2014, pp.7 ), in cui raccoglie proposte, per rispettare l’ambiente e curarne la qualità: sarebbe importante “considerare il valore anche economico delle risorse naturali e salvaguardare, il diritto delle generazioni future ad avere ancora accesso a risorse di pari valore”.

Basti pensare al fatto che, oggi, “un Comune che rende edificabile un’area di territorio, non deve rispondere di alcuna perdita di valore in conto capitale, pur avendo rinunciato a una risorsa. Mentre in conto economico ci guadagna due volte: con gli oneri di urbanizzazione e con le imposte sugli immobili”. (Governatori M., cit., p.3).

 

Consideriamo ancora l’ambiente e le risorse naturali un’eredità ricevuta dai nostri padri, dai nostri nonni; un’eredità da dilapidare e non ci preoccupiamo minimamente del come lasceremo questo ambiente ai nostri figli, ai nipoti.

Se, invece, come nota Governatori, “il territorio venisse invece considerato un valore patrimoniale conferito dallo Stato al Comune, e il Comune dovesse contabilizzarne la perdita e ricostituirne il valore economico nel proprio bilancio, magari facendo investimenti compensativi obbligatori, allora l’amministrazione non avrebbe lo stesso interesse a consumare il territorio”.

 

Per decenni, dal dopo guerra, si è continuato ad abusare del territorio e dell’ambiente in cui viviamo, con lo spirito speculativo, con l’idea del profitto, senza scrupoli e senza timore dei vincoli naturali, idrogeologici, geomorfologici e sismici; ed anche per il Vesuvio e l’area dei Campi Flegrei ci si affida a San Gennaro.

Si è fatto strage continua di leggi dell’uomo e di leggi della natura e, adesso, assistiamo alle continue stragi di popoli. Ma continuiamo a trivellare per cercare petrolio senza preoccuparci se ciò sia o meno dannoso per l’ambiente.

Per cambiare verso, per invertire questa tendenza scellerata volta al consumo sfrenato di suolo e di risorse del sottosuolo, purtroppo ancora in atto, anche per chi scrive è necessario, “che lo Stato contabilizzi il valore delle risorse depauperate e valuti l’accettabilità della perdita, per limitarla quando necessario”.

 

Per concludere, allora, alcune semplici proposte radicali che rappresentano una sfida su dissesto idrogeologico, rischio sismico e ambientale:

  1. Censimento della vulnerabilità sismica degli edifici pubblici e privati da realizzare mediante la collaborazione con gli ordini professionali e lavoratori di pubblica utilità cui riconoscere un sussidio di cittadinanza il primo, e attraverso un sistema di incentivi di fiscalità il secondo;
  2. Piano nazionale per l’adeguamento e/o la rottamazione sismica degli edifici pubblici non in grado di resistere alle scosse; piano di fiscalità che incentivi l’adeguamento e la rottamazione degli edifici privati vulnerabili;
  3. Integrazione della banca dati catastale con i dati relativi alle aree a rischio idrogeologico e alla vulnerabilità degli edifici in modo da poterli rendere conoscibili a chiunque acquisti un immobile;
  4. Piano di implementazione dei sistemi di allerta meteo contro le “bombe” d’acqua sul modello di quello proposto dal Prof. Ortolani dell’Università Federico II di Napoli;
  5. Piano di delocalizzazione degli edifici pubblici presenti nelle aree a rischio per alluvione o per frana;
  6. Obbligo di Contabilizzazione della porzione di nuovo territorio urbanizzato come risorsa perduta;
  7. Rendere effettivamente conoscibili sui siti delle “amministrazioni trasparenti” che tali ancora non sono, i dati relativi all’inquinamento ambientale, ma anche quelli relativi alle aree a rischio idrogeologico;
  8. Il geologo di zona. Un geologo in ogni comune era la proposta originaria di Marco Pannella. Oggi quella proposta è una proposta ufficiale anche del Consiglio nazionale dei geologi. Non è una lotta per rafforzare la categoria. Un geologo per ogni area a rischio, che si occupi del monitoraggio di fiumi e corsi d’acqua, che si occupi del funzionamento dei sistemi di allerta delle popolazioni e che porti, all’interno delle pubbliche amministrazioni, quella cultura del rispetto dell’ambiente che finora è mancata, sarebbe ancora una proposta radicale ragionevole. Su questo voglio dire ricordare che la vera priorità per il nostro Paese è la prevenzione del dissesto idrogeologico, che torna a minacciare il territorio a ogni acquazzone un po’ più forte del solito. E che, mentre in Italia si discute su cosa fare la Spagna ha recentemente fatto propria la proposta proveniente dai Geologi di istituire l’ufficio geologico di zona per la prevenzione del dissesto idrogeologico, la promozione e la salvaguardia del territorio, trasformandola in proposta di legge da discutere al Congresso dei deputati.
  9. Effettuare – come movimento – una requisitoria anche per tutte le amministrazioni locali che non ottemperano alle leggi dello Stato in materia di trasparenza ambientale.

 

Giuseppe Candido