Campagne radicali

LA LIBERTA’ E’ TERAPEUTICA

Tso: una zona d’ombra che va illuminata

La cronaca continua a dare conto di drammatiche vicende legate alle pratica del Trattamento Sanitario Obbligatorio. Tra le tante, sono eclatanti quella di Giuseppe Casu, morto “di Tso” a Cagliari nel 2006 dopo sette giorni di ininterrotta contenzione, e quella di Francesco Mastrogiovanni, morto nel 2009 a Vallo della Lucania dopo “87” ore di analoga ininterrotta contenzione, riprese integralmente da una telecamera all’interno del reparto.

Una riforma non più rinviabile

A 39 anni dalla “Legge Basaglia”, non è più rinviabile un riesame dell’Istituto del Trattamento Sanitario Obbligatorio, in considerazione:

  • della evoluzione della cornice giuridica internazionale e nazionale sulla libertà di cura;
  • dell’evoluzione del concetto di “Salute Mentale”;
  • dell’esperienza e dei risultati conseguiti dalla legge Basaglia nella sua applicazione pratica, da cui deriva della necessità di dare tutele giuridiche più significative e concrete a coloro che vengono sottoposti a TSO;
  • della presa di coscienza politica e sociale secondo cui occorre orientare l’ intervento pubblico sulla “salute mentale” al coordinamento dei diversi strumenti di welfare che, incidendo sui fattori predisponenti al disagio psichico, può realizzare risparmi significativi

L’emergenza “culturale” di una riforma del Tso viene evidenziata anche dalla Corte d’Appello di Salerno, che nel caso di Franco Mastrogiovanni, motivando la pena inflitta a sei medici responsabili di sequestro di persona, omicidio in conseguenza del sequestro, e falso in cartella clinica, chiarisce che “nessuno può fingere di ignorare che la contenzione non era un’esclusiva dell’ospedale di Vallo della Lucania e tanto meno dei sanitari di turno durante la degenza delle odierne persone offese, ma costituiva il retaggio della concezione “manicomiale” del trattamento psichiatrico…”.

… Leggi o ascolta l’intervento di Marco Pannella del 28 aprile 1978 sulla “controriforma” dell’istituto manicomiale, che introdusse il Tso nell’attuale formulazione. Per approfondire, leggi l’articolo nella rubrica di Michele Capano.

 

WELFARE SOSTENIBILE, REDDITO MINIMO CONTRO LA POVERTA’

ITALIANI A RISCHIO DI POVERTÀ E DI ESCLUSIONE SOCIALE sono il 28,3% della popolazione (17 milioni) DI CUI 37,4% I GIOVANI (18-24 anni); 20,2% GLI ANZIANI (+65 anni); 4 milioni 598 mila (7,6% della popolazione) GLI ITALIANI IN POVERTÀ ASSOLUTA; 29,8% del PIL (478 miliardi di euro) LA SPESA PER IL WELFARE. 


L’obiettivo della strategia Europa 2020 di ridurre le persone a rischio di povertà o di esclusione sociale è stato completamente mancato in Italia, dove il problema coinvolge oltre 17 milioni di persone e in modo particolare i giovani, gli stranieri, le persone con bassa istruzione, gli abitanti del Mezzogiorno, i lavoratori con contratti non standard e quelli dei settori meno sindacalizzati. In base ai dati dell’Istat, nel 2015 le persone in povertà assoluta sono 4 milioni 598 mila (7,6% della popolazione), mentre quelle in povertà relativa sono 8 milioni 307 mila (13,7% della popolazione). 


Il problema della povertà è e sarà sempre più centrale nella vita dei cittadini: infatti, ai fenomeni “classici” di povertà, spesso associati a condizioni di esclusione sociale, occorre aggiungere altri e nuovi fenomeni, che hanno caratteristiche del tutto diverse e che risulteranno sempre più diffusi in un futuro prossimo, determinati da una parte dalla sempre maggiore diffusione di lavoratori autonomi che operano nell’economia “sharing” “on-demand”, “gig” “peer-to-peer”, con modalità di lavoro intermittenti che spesso prevedono retribuzioni complessiva annue al di sotto della soglia di povertà, dall’altra dallo sviluppo delle nuove tecnologie digitali e dell’automazione attraverso i robot che mettono a rischio percentuali elevate di professioni non qualificate e manuali (9-10%, secondo l’OCSE), determinando un nuovo tipo di “disoccupazione tecnologica” di lunghissima durata − e quindi a rischio di povertà.

Questi nuovi fenomeni richiedono politiche di contrasto basate non solo su sostegni al reddito temporanei (il reddito minimo d’inserimento), ma soprattutto su politiche d’inclusione nel mondo del lavoro e sull’adeguamento delle competenze dei lavoratori spiazzati dalla globalizzazione alla nuova domanda di professioni tecniche e altamente qualificate.

CANNABIS LEGALE

La cannabbis è già libera. 13 milioni di italiani ne hanno già fatto uso; 4 milioni l’hanno utilizzata nell’ultimo anno; 12 miliari di euro il volume dei traffici stimato in Italia e 147 le tonnellate di cannabis sequestrate ogni anno (e che rappresentano il 10-20% dei volumi che circolano sul mercato).

Nella relazione del Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti a capo della Direzione Nazionale Antimafia si legge che:

“(…) Ricordiamo, allora, – si legge – per dare un significato concreto ai dati che riguardano il presente anno, che, nel periodo precedente a quello in esame (dunque, dal 1 Luglio 2012 al 30 Giugno 2013), in Italia, venivano intercettati: (…) kg 63.132 di cannabis di cui 35.849 di marijuana, kg 27.282 di hashish e kg 4.074 di piante (…).

In via esemplificativa, l’indicato quantitativo consente a ciascun cittadino italiano (compresi vecchi e bambini) un consumo di circa 25/50 grammi pro-capite (pari a circa 100/200 dosi) all’anno. 

Invero, di fronte a numeri come quelli appena visti – e senza alcun pre-giudizio ideologico, proibizionista o anti-proibizionista che sia – si ha il dovere di evidenziare a chi di dovere, che, oggettivamente, e nonostante il massimo sforzo profuso dal sistema nel contrasto alla diffusione dei cannabinoidi, si deve registrare il totale fallimento dell’azione repressiva(rectius: degli effetti di quest’ultima sulla diffusione dello stupefacente in questione). 

E quando si parla di “massimo sforzo profuso” in tale specifica azione di contrasto, si intende dire che – fatti salvi i sempre possibili miglioramenti qualitativi, ovvero la razionalizzazione o gli aggiustamenti nell’impiego delle risorse – attualmente, il sistema repressivo ed investigativo nazionale, che questo Ufficio osserva da una posizione privilegiata, è nella letterale impossibilità di aumentare gli sforzi per reprimere meglio e di più la diffusione dei cannabinoidi. 

Ciò per la semplice ragione che, oggi, con le risorse attuali, non è né pensabile né auspicabile, non solo impegnare ulteriori mezzi ed uomini sul fronte anti-droga inteso in senso globale, comprensivo di tutte le droghe ( …rimarrebbero “scoperte” e prive di risposta investigativa altre emergenze criminali virulente, quali quelle rappresentate da criminalità di tipo mafioso, estorsioni, traffico di essere umani e di rifiuti, corruzione, ecc) ma, neppure, tantomeno, è pensabile spostare risorse all’interno del medesimo fronte, vale a dire dal contrasto al traffico delle (letali) droghe “pesanti” al contrasto al traffico di droghe “leggere”.

In tutta evidenza sarebbe un grottesco controsenso. Si può dire, allora, che i dati statistici e quantitativi nudi e crudi, segnalano, in questo specifico ambito, l’affermarsi di un fenomeno oramai endemico, capillare e sviluppato ovunque, non dissimile, quanto a radicamento e diffusione sociale, a quello del consumo di sostanze lecite (ma, il cui abuso può del pari essere nocivo) quali tabacco ed alcool.

… davanti a questo quadro, che evidenzia l’oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro (ipotizziamo, almeno, europeo, in quanto parliamo di un mercato oramai unitario anche nel settore degli stupefacenti) sia opportuna una depenalizzazione della materia, tenendo conto del fatto che, nel bilanciamento di contrapposti interessi, si dovranno tenere presenti, da una parte, le modalità e le misure concretamente (e non astrattamente) più idonee a garantire, anche in questo ambito, il diritto alla salute dei cittadini (specie dei minori) e, dall’altra, le ricadute che la depenalizzazione avrebbe in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse disponibili delle forze dell’ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e, infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite”.


Legalizziamola è la proposta. In modo da sottrarre ingenti proventi alle criminalità e poter finalmente ridurre un po’ le tasse e investire maggiori risorse in prevenzione di un fenomeno ormai dilagante.

Alle due di notte – diceva spesso Marco Pannella – è più difficile trovare un tozzo di pane che uno spinello. Marco Pannella, già dagli annni ’80, sosteneva che, per sconfiggere i traffici illegali bisognava legalizzare, regolamentare, sottraendo i traffici alle criminalità organizzate.

Come ormai sostiene pure il Procuratore Nazionale Antimafia, Francesco Roberti nell sua relazione inviata al Parlamento a febbraio 2016, per sottrarre ingenti traffici illegali alle mafie e poter investire nella prevenzione di un fenomeno ormai dilagante, Radicali Italiani propone la LEGALIZZAZIONE. 

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Pubblicato da Giuseppe Candido

Geologo, giornalista pubblicista, insegnate di scienze e matematiche di ruolo, ha pubblicato numerosi libri. Per informazioni complete su Giuseppe Candido puoi visitare il sito www.giuseppecandido.it